Cos’è la Storia? o meglio: cosa rende la storia di alcuni uomini, di un luogo e di un tempo, epica e degna di essere ricordata?
Risponderemo un’altra volta. Adesso ti chiedo invece se sai com’è che due di queste storie, tra di loro lontane, lontanissime, eppure epiche e travolgenti, possano mai trovare un legame tra esse, magari anche sottile (come quel sottile fil di fumo di Madame Butterfly, che dà il titolo al primo romanzo sul commissario Montalbano del 1980), un legame che le tenga avvinte ad un destino comune. Borges direbbe – e non potrebbe dire diversamente – che quel legame sta nella letteratura; meglio, in quell’unico libro che tutta la letteratura concorre a comporre dacchè essa stessa esiste. O che quel legame sta nella stessa essenza del tempo, che è fatto di quella materia che non si crea e non si distrugge, ma si trasfigura – si trasfigura pitagoricamente.
E così il proiettile che uccide J.F.K. non solo è lo stesso che aveva ucciso in Uruguay il presidente Arredondo, o ancora prima Lincoln; quel proiettile – pitagoricamente trasfigurato – fu la mannaia che tagliava il collo alla regina, il veleno del capo dei cartaginesi, il calice bevuto a suo tempo da Socrate (In memoriam J.F.K, in El Hacedor, 1960).
Mi rendo conto solo ora che ciò che ho scritto nulla ha a che vedere con quelle che erano le mie intenzioni. In effetti volevo solo chiedere se si può dire che in qualche modo Borges sia siciliano. Mi spiego: lui, nato in quella palermo sudamerica che prende il nome dal palermitano Dominguez, che per lo scrittore diviene mitologicamente il luogo di nascita della sua Buenos Aires; lui che si dice discendente di eroi spagnoli da parte di madre (di cui dice che son de una ignorancia inconcebible) e da parte di padre da tutta la letteratura anglòfona; lui non può dirsi a tutti gli effetti uno scrittore siciliano?
Adesso attendi la risposta, ebbene, non ce l’ho, ovviamente anagraficamente no, ma come scrittore? c’è da studiarsi tutta l’opera di Borges e poi quella degli scrittori sicialiani. buon lavoro a chi ne abbia la voglia.
Tutto ciò per introdurre un testo, questo, che costituisce l’ultimo capitolo di un libro su Camilleri, questo, nel quale si ricorda (pp.8-10) che Sciascia si rese conto che i siciliani avevano una cosa in comune con gli argentini, che era la stessa cosa che Borges si rese conto che gli argentini avaveno in comune con gli spagnoli, che era la cosa che degli spagnoli aveva notato Miguel de Cervantes:
Borges dice di aver sempre pensato che l’Argentina fosse irrimediabilmente diversa dalla Spagna; ma ad un certo punto due righe del Don Chisciotte sono bastate a convincerlo di essere in errore. Le due righe sono queste: “… che nell’aldilà ciascuno se la veda col proprio peccato”, ma in questo mondo “non è bene che uomini d’onore si facciano giudici di altri uomini dai quali non anno avuto alcun danno”. Credevo anch’io, come Borges, che nella mafia, nel “sentire mafioso”, nell’indifferenza della maggior parte dei siciliani di fronte alla mafia, non ci fosse nulla di spagnolo: ma questo passo di Borges, con dentro le due righe di Cervantes, mi ha convinto che sbagliavo.
(il passo citato è di Sciascia, si ritrova in A futura memoria dell’89. Quello di Borges è dell’Evaristo Carriego, quello di Cervantes, ovviamante, del Don Quijote, I, XXII)